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Aaron Abernathy

Aaron Abernathy – gli appunti di The Soul Haven

Aaron Abernathy è di Cleveland ed è conosciuto principalmente per il suo lavoro come session man e band leader nella versione live della combinazione Black Milk & Nat Turner, ensamble organico che prende base sul concetto di sperimentazione caro a Dilla e a A Tribe Called Quest, oltre come consulente musicale soprattutto per i live show anche di Slum Village. Aaron prende per la seconda volta il centro del palco con Dialogue, concettualmente seguito del suo esordio Monologue rilasciato lo scorso anno.
Sempre più spesso quando si ascolta la musica, oggi, si presta poca attenzione. Questo atteggiamento ci priva di quella dimensione unica e personale dell’incontro con l’opera, soprattutto quando ci troviamo di fronte non a una “raccolta” di canzoni, non a una “playlist”, ma ad un lavoro più complesso: quello che si chiama “album”. Categoria di cui Dialogue di Aaron Abernathy fa parte e che quindi richiede da parte nostra non un atteggiamento passivo, ma quell’empatia necessaria per poter instaurare un rapporto personale con la musica che ascoltiamo.

Dove il lavoro precedente focalizzava su amore, relazioni personali e famiglia (era tuttavia un concept album sui generis), questa volta la luce si sposta e illumina le vulnerabilità di un americano di colore nel 2017. Entra quindi l’America con le sue segregazioni, la sua politica, le questioni razziali. Come il precedente, anche Dialogue è composto, arrangiato e prodotto da Abernathy che, senza rinnegare nulla del passato in merito alla musica nera, riesce a conferire al lavoro un flusso continuo, equilibrato, profondo. Qualcuno appassionato di storia americana ricorda sicuramente la figura iconica del Reverendo Ralph Abernathy, in prima linea nel movimento per la lotta dei Diritti Civili. Il bisnonno di Aaron deve aver sicuramente lasciato più di qualche impronta sulla formazione del pronipote che le evidenzia nello sviluppo di questo suo dialogo.

Già, ma dialogo con chi? Sia con gli antenati, sia con le generazioni prossime, utilizzando la tecnica del “sample” declinata all’interpolazione di discorsi che hanno attinenza con i testi delle singole tracce.
Più di una metafora, il suo dialogo intergenerazionale è aiutato dalle testimonianze storiche di intellettuali quali James Baldwin e attivisti accademici come Angela Davis: intrecciati nel tessuto delle canzoni in modo da conferire quel flusso di cui sopra. Fa specie riascoltare le rivelazioni della CIA in merito alle guerriglie dell’America centrale, inserite come vecchio e nuovo avvertimento nella trama portante di Dialogue se non ci fermiamo all’aspetto musicale ma lo contestualizziamo nelle cronache americane degli ultimi tempi.

Aaron Abernathy
Per farla semplice, Aaron Abernathy parte dallo spirito di Curtis Mayfield, lo assorbe e lo personalizza attraverso i suoi ascolti di cui fanno parte certamente calibri quali Bilal, Maxwell e D’Angelo. Il resto è possibile scoprirlo soltanto ascoltandolo. Lascia sedimentare e filtra con un talento e un dono più unici che rari, oggi, consegnando a noi un lavoro importante, magico, pieno di anima, consapevolezza e bellissime composizioni. Che eccede le aspettative e che è uno degli instant classics di The Soul Haven.

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