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Anderson Paak

Anderson Paak

Anderson Paak, ovvero l’astro nascente del Neo Soul

Come saprete, a breve si terrà la cinquattottesima edizione dei Grammy Awards. Mai come quest’anno la manifestazione sarà ricca di musica black, soprattutto grazie alle undici nomination ricevute da Kendrick Lamar grazie al suo capolavoro “To Pimp A Butterfly”. Un artista che probabilmente sarà presente ai Grammy del prossimo anno è Anderson Paak (spesso scritto Anderson .Paak), musicista americano fino a poche settimane poco conosciuto dal grande pubblico; il suo ultimo album, “Malibu”, che analizzeremo in parte in questo articolo, ha creato stupore e scompiglio nella scena black, portando un’ulteriore ventata d’aria fresca a un genere che sembra stia tornando sempre più di moda col passare del tempo.
Ma partiamo dall’inizio. Brandon Anderson Paak nasce Oxnard, California, l’8 agosto del 1986. Figlio di padre afroamericano e madre coreana, è il terzo di quattro fratelli: oltre a lui ci sono le tre sorelle, appassionate di black music e prime mentori musicali di Anderson. Poco più che adolescente comincia a sviluppare una buona abilità sia come batterista che come cantante, abilità che migliorerà facendo una lunga gavetta nella chiesa battista della famiglia. Più o meno nello stesso periodo comincia a produrre musica nella propria cameretta, ispirato da una moltitudine di generi abbastanza impressionante (da Neil Young agli A Tribe Called Quest, dai Beatles a Marvin Gaye, dai White Stripes a J Dilla); in questo modo, oltre a farsi conoscere nell’ambiente musicale locale, Anderson inizia a capire che la musica potrebbe davvero essere la sua strada.
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Non succede nulla di particolarmente importante, però, fino al 2011. Paak, sposato e padre di una bambina, viene beccato a lavorare in una piantagione di marijuana, ed è costretto ad abbandonare il proprio alloggio diventando un vero e proprio “homeless”, così come la moglie e la figlia. Gli aiuti, però, non tardano ad arrivare. Shafiq Husayn, membro della band neo soul Sa-Ra, assume Anderson come assistente, videomaker, editore, scrittore e produttore, permettendogli di guadagnare abbastanza denaro da uscire dalla propria condizione di senzatetto.
Questa esperienza non sarà importante solamente dal lato economico: Anderson, infatti, è parecchio bravo, e così, nel solo 2012, riesce a pubblicare i suoi primi due LP, entrambe con lo pseudonimo di Breezy Lovejoy: “Lovejoy” e “O.B.E. Vol. 1”. Viene inoltre assunto come batterista ufficiale di Haley Reinhart, allora concorrente di American Idol, facendo così la prima esperienza come turnista ad alto livello.
Paak comunque non si fa distrarre dalle sue prime fortune musicali, e continua a produrre musica come un forsennato. Nel 2013 pubblica “Cover Art”, un EP interamente di cover. I brani scelti dal cantante sono tutti classici folk o rock anni ’60/’70 rivisitati in chiave jazz, hip hop, R&B e soul: è chiaro l’intento di dimostrare quanto la musica rock sia musicalmente debitrice nei confronti di tutta quella musica nera da cui, spesso, trae la gran parte dell’ispirazione. Passa poco più di un anno ed ecco che Anderson si ripresenta con un nuovo LP (stavolta pubblicato come Anderson .Paak), “Venice”, il quale non viene molto considerato da critica e pubblico, ma che ha il grande merito di far innamorare un certo Dr. Dre, il quale vorrà Paak su ben sei tracce di “Compton”, il suo ultimo album.
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Arriviamo così finalmente ai giorni nostri. Anderson Paak ha pubblicato il suo quarto album, “Malibu”, ormai quasi un mese fa, più precisamente il 15 gennaio. La gran parte degli “aficionados” di soul music è letteralmente impazzita per un disco che si preannuncia essere una delle migliori opere dell’anno. “Malibu” è un meraviglioso viaggio nella vita di Anderson e nella musica hip hop, R&B e neo soul, con frequenti escursioni nel funk, nel soul e nel jazz. Dalla prima all’ultima traccia Paak esplora a fondo le forme sinuose della black music con le capacità di chi l’ha amata, studiata e sudata per tutta una vita. Si sentono forti le influenze di esponenti di spicco della musica afroamericana come Prince, D’Angelo, Marvin Gaye (chi più ne ha, più ne metta), ma soprattutto si percepisce una profonda influenza di un album che ormai sta diventando sempre più una pietra miliare come “To Pimp a Butterfly” di Kendrick Lamar.
“Malibu” è un disco incredibile non solo per il lato musicale, ma anche per quanto concerne le liriche. Anderson Paak, infatti, oltre ad essere un ottimo cantante, se la cava davvero bene anche con il rap, abilità che gli permette di cucire alla perfezione il proprio cantato sulla musica, imprimendo ancora più forza espressiva alle già belle liriche, forte della lezione di Lamar. La coesione tra la voce di Paak e la musica in cui essa è avvolta è davvero di altissimo livello; se poi il tutto è confezionato da un team di produttori che comprende 9th Wonder, Chris Dave, Madlib e Kaytranada, allora diventa tutto ancora più facile e meraviglioso.
Anderson Paak con “Malibu” si inserisce nel novero delle nuove speranze della black music, in buona compagnia insieme al già citato Kendrick Lamar e al quasi “desaparecido” Frank Ocean. “Malibu”, oltre che tra gli amanti del genere, sta infatti ottenendo un buon successo anche nelle classifiche più “mainstream”, sia negli Stati Uniti che fuori. Un disco del genere fino a due o tre anni fa probabilmente avrebbe fatto molto meno successo, ma, come abbiamo già detto e ripetuto sul nostro blog, è abbastanza evidente che qualcosa nei gusti del pubblico sia cambiato e stia cambiando. Non ci resta che sperare che questo cambiamento vada fino in fondo, coinvolgendo più pubblico possibile e portando sempre più in alto la qualità della musica che sentiamo alla radio, in televisione o ai concerti.
Dischi come “Malibu” sono fondamentali per processi come questo, per cui… Grazie, Anderson .Paak.
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Una risposta

  1. Personaggio e musicista che merita un giusto riconoscimento. Dr. Dre lo ha voluto anche nella sua Aftermath facendogli firmare un contratto per i prossimi album. Speriamo solo che non si perda per strada ma con un padrino come Dr. Dre sarà difficile.
    Davvero bravo.
    SimoneNiga

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