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Charlie Parker

Etere o non etere? – Charlie Parker 2.0

Come sarebbe il profilo Facebook di Charlie Parker?

Parafrasando il verso della famosissima opera di Shakespeare, l’importanza della condivisione e di apparire in questi tempi è diventata fondamentale. Non che prima non lo fosse, ma la “sindrome da likes” non esisteva, gente come Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Thelonious Monk (per citarne alcuni) andavano sulla cinquantaduesima o al Minton’s e se le “suonavano” di santa ragione, era lì la loro bacheca. A me quel periodo – intorno agli anni ’50 – piace proprio tanto, e non ne faccio una questione di genere, ma di stile. I musicisti si vestivano bene, cercavano un’entità “personale”, visiva e sinergicamente – chi più chi meno – imparavano l’uno dall’altro, rubando frasi, intenzioni, idee. Bisognava essere personaggi, duri a volte, essere cool tanto che l’attitude sopperisse eventuali mancanze tecniche, per farsi largo ed una reputazione, per farsi conoscere, apprezzare e per lavorare.
In pochi studiavano la musica, in pochi sapevano leggere ma in tanti avevano idee, fame di fare cose nuove. La musica Black si era evoluta ed il passaggio sociale di alcuni, di non voler essere più quelli che facevano ballare i bianchi a poco prezzo, era più un’ambizione personale che musicale. Anche all’epoca c’era competizione, e molta, ma il tam-tam era fortissimo e le storie che le persone facevano girare erano il trisnonno 2.0 del tastino “condividi” di Facebook. Un turbinio quasi romanzesco di musica, droga, soldi, invidie che manco in una telenovela brasiliana; ed il livello era dannatamente basso, il tutto si svolgeva tra persone ricche di spirito ma spesso proprio alla fame.
I musicisti venivano riconosciuti per il loro stile e non tramite le persone con le quali suonavano – ovviamente parliamo di coloro che si distinsero e ci piace tanto vedere come “modelli” musicali ai quali ispirarci – questo era il fine, essere riconosciuti in quanto se stessi. C’era il pianista veloce ed ipertecnico, c’era quello strano, c’era quello che aveva un gran bel suono, c’era quello che faceva schifo ma suonava in orchestre importanti, quello con i vestiti fichi, il donnaiolo etc etc etc… E poi ci fu un alieno, Bird. Era oltre l’essere un musicista, oltre essere un saxofonista e, ahimè, anche oltre essere una persona capace di fare fronte alla realtà.
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Ho iniziato a viaggiare di fantasia ed ho immaginato una New York anni ’50 con dotata del sopracitato etere; ho immaginato il profilo Facebook di Charlie Parker…
Charlie “Bird” Parker – profilo pieno.
Tra i suoi amici, chiunque si possa immaginare che suoni, seguito da chiunque suoni ed anche da persone poco raccomandabili, gli stessi che circolavano nei paraggi dei suoi concerti o si presentavano fuori dagli studi di registrazione quando stava suonando su un disco e veniva pagato, quelli che gli fornivano l’eroina, tanta eroina. Molti di loro erano di N.Y. perché a Los Angeles era più difficile reperire la roba per lui e lì era costretto ad ubriacarsi fino a stordirsi, fino a non riuscire a suonare; e quando succedeva perdeva un bel po’ di amicizie e sicuramente molte persone smettevano di seguirlo. Ma a lui, apparentemente, non importava, non lo dava a vedere. Non poteva.
Le foto me le immagino divise ovviamente in cartelle, quelle profilo quasi tutte “sceme” con facce buffe, forse nessuna con il sax in mano, ma più verosimilmente in piena “botta”, con occhio a mezz’asta e lingua di fuori. Quelle invece condivise dai contatti lo vedrebbero più nell’ambiente musicale, su un palco, in un locale, e secondo me ci sarebbero anche quelle buffe di Mr. Dizzy Gillespie – che era un ca**aro – o di Mr. Miles Davis. Un Bird che dorme come svenuto con una sagoma di bottiglie di alcolici che lo circondano, una mentre, completamente fatto, rimane seduto con il disegno fallico che qualcuno gli ha fatto con il tappo bruciacchiato sulla fronte, e via così.
Immagino la condivisione dei video. Spazierebbe dalla classica al jazz, forse ci sarebbe anche dell’elettronica e, secondo me, sarebbe stato un fan del Robert Glasper Experiment, ma ne prenderebbe in qualche modo le distanze, avendone però sempre parole carine. Ci sarebbero video scemi e piccoli video bui, mentre è fatto, nel quale parlerebbe di visioni distorte e fantasiose della vita ma mai della musica, mai. Citando la biografia di Mr. Davis, in tutti gli anni nei quali suonò insieme a Bird non parlarono mai di musica, mai. Di pezzi da fare o di chi suonasse cosa si, ma la sua conoscenza era fruibile solo grazie alla condivisione, all’ascolto.
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Mi sono fermato un po’ con la fantasia su quei video lì, quelli bui dove intravedi uno scenario squallido, dove riconosci che non era in casa ma in un posto, un posto qualunque, sporco, triste con un aria sempre densa di fumo e la sensazione di polvere che si attacca alla gola. Cavolo lui era Bird, era quello che alzava l’asticella della pronuncia, dell’improvvisazione ed interpretazione a livelli ancora oggi inarrivabili. Pensarlo con la cravatta allentata, mentre parla, biascicando, di sé, fatto, mi rende tristissimo, ma ne avrebbe avuto bisogno, perché se non condividi sui social sei morto, non esisti, non lavori. E lui era Charlie Parker ed aveva un problema, doveva lavorare più degli altri per potersi permettere tutta quella robaccia da iniettarsi in vena.
Ok, sono triste.
La riflessione che faccio si basa sul fatto che nessuno è più Bird, nessuno – qualunque strumento si suoni. Nessuno è stato più desiderato di lui, più ambito di lui. Pochi musicisti non ci vollero suonare insieme e tra i più conosciuti ci sono Mr. Dizzy, che non sopportava il suo atteggiamento da tossico e Mr. Bud Powell, al quale Bird fece una corte sfrenata per averlo nella sua band, anche se il pianista accettò solo una registrazione su un disco, il resto del mondo sba-va-va per essere su un palco con lui, in un disco con lui o in una foto con lui… Magari da condividere su Facebook scrivendo qualche castroneria per ottenere visibilità e considerazione, credibilità.
Lo avremmo fatto tutti, ammettiamolo, tutti.
Siamo tutti piccoli amici miei, tutti noi amanti della Black abbiamo dei modelli ai quali ispirarci che potrebbero essere considerati alieni. Contestualizziamo con consapevolezza, cerchiamo di fare girare le informazioni in maniera sana ed essere sani nell’approccio con e per la Musica, portando rispetto per le storie, le espressioni, la ricerca di chiunque si misuri con un mondo così vasto e personale.
 
Charlie “Bird” Parker – profilo pieno
 
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Il Dede.

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