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Lauryn Hill

Lauryn Hill @ Lucca

Gio Rgia ci racconta il meraviglioso live di Lauryn Hill al Lucca Summer Festival.

Inizio col dirvi che sono partita da casa, Loano, con la vaga sensazione di beccarmi una sola. Pensavo: “e se non si presenta e fa saltare il concerto?”. A  Roma, sebbene con un’ora di ritardo, sebbene licenziando tutta la troupe di tecnici, comunque Lauryn Hill era presente. Avevo letto recensioni meravigliose e quindi mi dicevo: “no, non viene, ha dato tutto a Roma”. Quindi mi bevo una birra, mi siedo al mio posto e aspetto. Una seconda birra, un po di dj set e aspetto. Passano 45 minuti… inizio a sentire la gente lamentarsi tra i denti, come se non avesse davvero il coraggio di gridarle: “Hei brutta stronza, sono anni che non scrivi una canzone, sono qui per te, tu dove cazzo sei?”.

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Nessuno osava, ma tutti lo pensavano. Non io, perché io la capisco. Io so che non è facile vivere come lei, a 40 anni, con 6 figli, una responsabilità artistica sulle spalle pesantissima. Una delle regine del Neo Soul. Tra le prime a incidere qualcosa di davvero innovativo a soli 26 anni. Sì insomma, come puoi essere una persona tranquilla e serena? Non puoi. E infatti, 75 minuti e 3 birre dopo, spunta sul palco, senza troppe presentazioni plateali. Scalza, nel suo abito afro, contornata di gioielli. Si siede su una poltroncina di pelle con tre candele accanto e imbraccia la sua chitarra. Accenna un saluto al pubblico, i musicisti nemmeno li considera e via. Si inizia. È arrivato il capo. La regina.
Vedo la gente trasformarsi di colpo appena inizia a emettere note. Tutti si siedono in religioso silenzio mentre un secondo prima gridavano come animali, e si lasciano raccontare la sua storia. Pochi conoscono le canzoni che sta suonando (rivisitazioni di due canzoni di Nina Simone), ma sono tutti ipnotizzati.
Sul palco la scena è questa: lei canta ad occhi chiusi e picchia con le dita la chitarra quasi come stesse suonando del rock, ma no; la musica è dolce. Apre gli occhi solo per fulminare con lo sguardo il chitarrista o il batterista se non stanno facendo quel che lei vuole. Il fonico è lo schiavo del regno: ogni 3 secondi lei lo punta con la mano con uno scatto nervoso e lui ubbidisce sottomesso immediatamente. Vedo una schiera di undici musicisti meravigliosi che pendono dalle sue labbra, dai suoi occhi, dalle sue mani. Mi accorgo che non sta seguendo nessuna scaletta. Lei ha tutto ben chiaro in testa e pezzo dopo pezzo dirige a bacchetta tutti. Solo con una persona si lascia andare ad atteggiamenti umani, con scambi di sguardi complici e addirittura invitandoli a ballare in centro palco, una corista delle tre presenti sulla scena: sua figlia.

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Sono in estasi: vedo una donna, una madre e un dono di Dio in carne e ossa. Mi verrebbe voglia di piangere ad ogni canzone: la vedo che soffre, che è incazzata col mondo, sento la sua voce che ce lo dice gridando con tutto il fiato che ha in gola. Ok, un’ora seduta con la sua chitarra a trasmettere ansia e a farti stare attaccata alla poltrona, con la paura che stia per succedere qualcosa. E tutto ad un tratto, posa la chitarra, si alza e con un solo cenno alla band inizia a rappare. Una signora, una regina elegante che rappa: surreale. Surreale anche il modo in cui si muove e balla: sexy e perfetta. Ci delizia con i suoi successi più grandi, rivisita una canzone di suo suocero Bob Marley e una del suo re Stevie Wonder, e via. Lucca impazzisce, mentre lei continua a cantare, sempre rivolta verso la sua band piuttosto che verso il pubblico, sempre concentrata a dirigere, ma più rilassata. Ha trovato il giusto compromesso col suo gruppo e ora non li ferma più nessuno. Suonano pezzi di 9 minuti che Sembrano di 3 secondi. Insomma, credi che impazzirai di gioia al ritmo della sua musica, ti scoppia il cuore quando tocca acuti irraggiungibili, e via: si gira, avvisa tutti con un: “ragazzi solo un’ultimo pezzo”, intona That Thing: altri 6 minuti buoni di delirio per tutti e infine… Se ne va. Scende dietro le quinte accennando un saluto e se ne va, se ne va davvero come una regina. Una diva. Una madre stanca. Una donna prosciugata della sua anima.

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Rimango lì, in piedi, a fissare il palco, ci sono i suoi musicisti che si stanno svestendo dei microfoni, e la festa è finita, mentre sento tutti chiedersi: “tornerà, vero?”. Io invece so che no, è finito. Non tornerà più perché ci ha dato tutto quello che aveva e ora lo sento nel cuore. Me ne vado con gli occhi lucidi dalla gioia e dall’angoscia che mi ha trasmesso. Riesco solo a ripetermi in silenzio: “grazie, grazie Lauryn”.

Ecco qui; e oggi ancora mi sento così. Traducete come volete. Se lo desiderate vi do anche qualche titolo di quello che ha suonato… Ma quel che conta non è quello che ha suonato, bensì quello che ha detto senza parole alle nostre orecchie e al nostro cuore.

Gio Rgia
 
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