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La Generazione Uno di Ainè

Scoprite con noi Generation One, il primo disco di Ainè.

E’ passato già un bel po’ di tempo dalla prima volta che sentii Ainè, pseudonimo di Arnaldo Santoro, giovane cantante soul romano. Come la maggior parte di quelli che l’hanno conosciuto in quel periodo, entrai in contatto con la sua musica attraverso un brano segnalato su Twitter da Ghemon, Cosa C’è, singolo elegante, ben prodotto, dotato di un sound e di un groove arrangiati con molto gusto; davvero un bel biglietto di visita che toccò le corde giuste della parte black del mio animo. A Cosa C’è,  però, seguì poco o niente, se non qualche sporadico video di sessioni in studio o live. Poi sui social cominciarono i proclami, costanti, altisonanti: “Tenetevi forte!… Stiamo arrivando!… Ci siamo quasi!”, e l’attesa, i dubbi, le aspettative crebbero col passare del tempo. Sarà all’altezza? Riuscirà a non deludere il pubblico? Ce la farà a “spaccare”? Spesso mi sono fatto simili domande nell’ultimo periodo. Fino a quando, il 24 maggio, è uscito il primo album di Ainè: Generation One.
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 Ma partiamo dall’inizio. Arnaldo Santoro nasce 25 anni fa a Roma, per la precisione il 28 settembre del 1991. Nipote dell’omonimo autore televisivo (Indietro Tutta!, Aspettando Sanremo, Beato Tra Le Donne), oltre che protetto di Gegè Telesforo, sviluppa ben presto un grande amore verso la musica e in particolare, influenzato anche dallo stesso Gegè, verso generi come funk, jazz, soul, hip hop e R&B. Arnaldo studia musica sia al Saint Louis College of Music, sia all’Accademia Romana di Musica, rimanendo così nell’ambiente musicale romano fino a quando non si trasferisce a Los Angeles per frequentare la Venice Voice Academy (gli USA rappresentano anche il suo futuro, visto che è riuscito ad ottenere una borsa di studio per il Berklee Music College di Boston). Per lui, durante la stagione 2010-2011, c’è anche un’apparizione ad Amici di Maria De Filippi; esperienza non positiva dal punto di vista della competizione, visto che Ainè non farà molta strada nel talent (per fortuna, forse?):
 “…ripensandoci, mi rendo conto che in quel periodo non ero pronto, non ero abbastanza preparato, mi mancava l’esperienza e lo studio, è giusto che sia andata come è andata. E’ stata una bellissima esperienza, mi ha dato tanto, le batoste nella vita fanno bene…”.
 Oltre a questa breve esperienza televisiva, Ainè comincia ad assaporare l’atmosfera dei palchi e degli studi di registrazione, esibendosi sia da solista che in veste di corista assieme a Gegè Telesforo, con il quale intraprende una tourneè nei teatri di tutto il mondo, toccando paesi come Cina e Giappone e cominciando così a far conoscere il proprio nome e la propria musica. Sempre con Gegè avviene il suo debutto discografico grazie al singolo Last Goodbye, il quale resta per tre settimane in cima alla classifica dei singoli jazz più venduti. Nel 2014, infine, come scritto sopra, esce il primo lavoro da solista di Arnaldo, Cosa C’è, un singolo che gli permette di far scattare la scintilla nelle orecchie degli appassionati di black music.
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E arriviamo così ai nostri giorni, più precisamente al 24 di maggio, data di uscita di Generation One. Sebbene sia il primo disco di Ainè, l’attesa e le aspettative su di esso da parte dei fan e degli appassionati, come abbiamo già raccontato, sono cresciute nel tempo man mano che lo stesso cantante aumentava l’hype attorno all’album. E così è stato per noi la prima volta che abbiamo avuto sotto mano, o meglio, “sotto orecchio” Generation One: curiosi, speranzosi e un po’ dubbiosi. Risultato? Non siamo rimasti delusi: il primo album di Ainè AKA Arnaldo Santoro è una vera bomba, un viaggio in generi come neo soul, R&B, hip hop e nu jazz suonati, cantati ed interpretati come si deve. Tra gli innumerevoli pregi, uno dei più evidenti è sicuramente la produzione, affidata ad un team capitanato dal produttore esecutivo Francesco Tenti e dal produttore artistico Pasquale Strizzi di Totally Imported, etichetta per la quale è uscito il disco; una produzione al limite dell’impeccabile, grazie alla quale prende vita un mondo sonoro ricco di sfumature, sapori, colori che probabilmente troveranno l’approvazione di voi lettori e di tutti gli appassionati di soul music. Produzione che viene valorizzata dall’eccezionale lavoro svolto dai musicisti coinvolti nella registrazione del disco, tra i quali figurano anche i bassisti Alissia Benveniste (Be My One) e Kyle Miles (già bassista di Roy Hargrove, Patrice Rushen, Angelique Kidjo…). I due musicisti sono solo una parte degli ospiti presenti nel disco (oltre ad essere gli unici due stranieri): troviamo infatti anche il cantautore Sergio Cammariere nel singolo Dopo La Pioggia, Gemello dei Truceklan in Nascosto nel Buio, Ghemon e Davide Shorty in Tutto Dorme e ancora il rapper avellinese in Nel Mio Mondo. Menzione d’onore per le due strofe di Ghemon, particolarmente ispirato forse dai bellissimi beats su cui si è trovato a rappare; un valore aggiunto portato ai già bei testi di Arnaldo, semplici, diretti, comprensibili, orecchiabili, ben cuciti sulla musica e sulle melodie, sia nella prima parte del disco, tutta in italiano, che nella seconda, tutta in inglese, retaggio dell’esperienza losangelina del cantante. Insomma, un disco assolutamente da trovare, ascoltare e riascoltare.
Ainè, sebbene non in possesso di una di quelle voci che ti fanno rimanere a bocca aperta in quanto a potenza e range vocale, si dimostra essere un musicista, cantante e cantautore talentuoso e versatile, soprattutto considerando la giovane età e la difficoltà del genere affrontato. Ha studiato parecchio e quindi conosce il linguaggio “black”, è consapevole dei propri mezzi, ed è in grado di sfruttarli al meglio per emozionare l’ascoltatore, cosa che è riuscito a fare con noi lo scorso venerdi 3 giugno; Ainè era infatti a Milano ad aprire la prima serata del CarroPonte, precedendo il buon vecchio Ghemon sul palco. Gli sono bastati una ventina di minuti di fuoco per conquistarci, accompagnato dal suo straordinario gruppo (Dario Panza alla batteria, Emanuele Triglia al basso, Seby Burgio alle tastiere e Alessandro Donadei alla chitarra) oltre che da una spettacolare energia che sembra animarlo quasi animalescamente sotto i riflettori; una scarica di energia positiva che ci fa ben sperare per il futuro del Soul in Italia.
In passato il nostro paese ha già avuto dei protagonisti in questo genere, forse meno sponsorizzati, meno fortunati, meno attrezzati, ma che con la loro musica hanno iniziato a far luce su una strada fino ad allora quasi sconosciuta nello stivale. Loro erano la generazione zero; ora tocca alla generazione uno di Ainè e di quelli che verranno.
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