Anderson Paak lunedì sera ha suonato per la prima volta in Italia.
Lui è senza dubbio la giovane promessa che attendevamo da anni; sì, perché Anderson Paak è la prospettiva che mancava da troppo tempo, la perfetta trasversalità capace di mettere in condivisione soul, rap e R&B, il tutto sapientemente presentato con quel pizzico di pop che lo rende più gradevole e digeribile. Lui canta, scrive, suona e produce musica a non finire. Lui è anche la metà dei NxWorries, duo hiphop-soul creato con il suo socio e produttore Knxledge, oltre ad essere anche l’artista con più featuring realizzati nel corso di questo ultimo anno. Non contento di tutto questo dinamismo, sta girando l’Europa con due tour: il suo, personale, accompagnato dall’ormai inseparabile band The Free Nationals, con la quale sta preparando un album che dovrebbe uscire entro la fine dell’anno, e quello di Bruno Mars, per il quale fa da opening act (e con il quale passerà da Milano il 15 di giugno).
L’altra sera, in occasione della rassegna Tendenze, c’è stata la sua prima esibizione in territorio italiano, la prima aperta al grande pubblico, dopo la sorpresa fatta alcuni mesi fa sui tetti di Roma per un’intima affascinante performance di Lyk Dis, in occasione di una promozione a favore di Fendi. Per i fans che lo seguono e che lo attendevano dal suo primo album ufficiale, Venice (2015), ed ancora di più dopo l’arrivo del secondo, Malibu (2016), è stata un’occasione da non farsi sfuggire.
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Il pubblico del Teatro Romano di Verona ha assistito ad un evento che difficilmente verrà dimenticato.
Ad ospitarlo è stato il palco del Teatro Romano di Verona, splendida location sulle sponde dell’Adige con i suoi 1700 posti, che per l’occasione sono andati sold-out in poco tempo. Con le coloratissime immagini delle copertine dei suoi album proiettate sullo sfondo, ed anticipato dai membri della The Free Nationals, Jose Rios alla chitarra, Kelsey Gonzalez al basso, Ron Tnava Avant alle tastiere e il dj e produttore Callum Connor, Anderson Paak si presenta indossando occhiali scuri, anfibi e una giacca nera che toglierà di lì a poco per mostrare una canotta vagamente “truzza”, ma che fa sicuramente tendenza. L’energia che Paak butta dentro in tutto quello che realizza la si percepisce sin dalle prime note di Come Down, brano che dà il via ad un crescendo di emozioni ed entusiasmo. Traspare il suo vigore, appagato e pronto a dare il meglio di sè. Anche il pubblico, che lo accoglie con eccitazione, ha il suo bel da fare, perché è impossibile resistere e rimanere immobili. Lui sorride, ringrazia celebrando i presenti come il miglior pubblico mai incontrato. Non importa se è una frase circostanziale, noi crediamo veramente di essere i migliori e Paak sembra intuirlo. Lo spettacolo prosegue con The Season/Carry Me, la prima canzone di una lunga serie che vedrà le evoluzioni di Anderson alla batteria, strumento che suona con destrezza. I titoli che si susseguono sono quelli che hanno dato risalto ai suoi due album come The Bird, Am I Wrong o Room In Here e Miss Right, anche queste suonate alla batteria.
Il pubblico, inesorabilmente esaltato, lo accoglie con urla e selfie in occasione dei due passaggi fatti tra le prime file della platea. E’ così, e non solo, che Anderson Paak riesce ad incitare gli spettatori. Accade in Lite Weight dove chiede ai presenti di chinarsi per poi farli rialzare invitandoli in un ballo delirante, oppure sul finale dello spettacolo quando in Luh You si fa accompagnare da tutti i presenti con il coro “I think I love you, oooh”. Accaldato, dopo il continuo danzare e saltare, saluta, ma non si allontana dalla scena perché ritorna dopo pochi minuti per un encore, durante il quale suona Milk n’ Honey, Drugs e la finale The Dreamer. Nell’abbandonare il teatro, con la consapevolezza di aver assistito ad uno degli eventi dell’anno, anche se ingiustamente poco pubblicizzato, abbiamo avuto la conferma che questo Anderson Paak è a tutti gli effetti un genio, capace di crearsi una personalità artistica unica, ricca di molteplici sfaccettature musicali che brillano grazie alle liriche narrate con un flow meraviglioso, grazie alle emozioni provocate dal soul, grazie al groove del suo cuore funk ed anche alle sue ruvide radici blues e gospel. In lui risiede ciò che di più bello si è ascoltato in questi ultimi vent’anni: Anderson Paak è la nuova frontiera della musica black.
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