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BB King

BB King

Un omaggio al re del blues, BB King.

Una sola nota.
Forse perché BB King era The King of the Blues, forse perché quando suonavo il chitarrone tutti mi chiamavano GGKing, forse perché un giorno a me (sì, proprio a me) disse: “You’re good”, forse perché con la sua morte scompare l’ultima vera leggenda della musica, forse perché era il mio idolo.
Ecco perché sono triste e mi mancherà.

Vorrei partire da qui, da un breve post lasciato sulla mia pagina Facebook, per cercare di liberarmi da quel nodo che mi stringe la gola da quando un messaggio di un amico mi ha sbattuto in faccia la notizia della morte di Riley B. King. Non voglio raccontare la storia della sua vita, che in questi giorni si può leggere sui siti di tutto il mondo, mi basta ricordare i suoi 50 album, 15 Grammy, più di mezzo secolo di concerti, per riconoscere che era una leggenda. Vorrei invece cercare di trasmettere l’emozione di una sua nota, la suggestione del suo suono. Era celebre più per l’inconfondibile stile che per le canzoni, grazie a una Gibson Lucille nera, chitarra semiacustica parlante quasi singhiozzante, come un giorno disse George Harrison.

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Il suo stile era fatto anche di note singole, trattenute, vibrate, prolungate. Ascoltando B.B. King ho compreso che essere un musicista vuol dire trovare la propria voce. Non serve dire, dire, e dire ancora; infilarsi in scale, virtuosismi, cascate di note, accordi costruiti come architetture barocche. Serve, semplicemente, pronunciare le parole giuste al momento giusto. E un discorso di B.B. King per mezzo di Lucille, di giusto, aveva anche le pause. Ma soprattutto erano quelle note singole, sospese, strazianti, che mi hanno regalato le più grandi emozioni che una chitarra, e non solo, potesse offrire. Che queste semplici e singole note costituiscano la sua più importante eredità, il vero messaggio per i musicisti che oggi lo piangono ma sino a ieri ne snobbavano la scarsa tecnica. Spesso nei suoi show veniva lasciato gran spazio, nella prima parte del set, alla Band. Una classica orchestra americana, fiati, pianoforte, sezione ritmica. Semplicemente perfetti: non una sbavatura, tiro formidabile, gran virtuosismo. Troppo perfetti, forse. Poi sul palco entrava B.B. King, con la sua leggendaria Lucille appoggiata su un ventre generoso e strizzato nello smoking. Bastava una nota, una sola, e la perfezione diventava emozione, e il virtuosismo svaniva nel Blues.

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Aveva 86 anni quando lo vidi per la terza volta in un concerto, all’Ippodromo di Milano. Mi chiedevo perché un uomo ricco, famoso, con 50 album e 15 Grammy alle spalle, il Re, continuasse a macinare concerti ed esibizioni a quell’età. Ho trovato la risposta nelle parole di Barack Obama, nel messaggio inusualmente diramato dalla Casa Bianca per la morte di un musicista: “No one worked harder than B.B. … No one did more to spread the gospel of the blues”. Come un apostolo voleva diffondere il vangelo del Blues, perché il Blues era la sua vita, il suo credo, la sua missione.

E quelle note singole erano le parole di questo vangelo. Lenny Kravitz, nel suo tweet di saluto ha scritto “BB, anyone could play a thousand notes and never say what you said in one”.
Ecco, è proprio questo che mi mancherà.

Gianluigi “GGking” Brambilla

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