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Bootsy Collins – Gli appunti di The Soul Haven

Per affrontare con i dovuti dettagli Bootsy Collins ci vorrebbe lo spazio equivalente a un tomo di mille pagine. Dovrebbe partire come minimo dal 1971, quella sera in cui James Brown lo licenziò dopo che Bootsy ebbe un’allucinazione da LSD sul palco del Padrino del Soul e arrivare ai giorni nostri. Passare poi dall’universo di George Clinton e dei Funkadelic, del suo ammiccare ai suoni heavy metal, il suo contatto negli anni ottanta con i Talking Heads e giù fino a Eazy-E degli N.W.A. che lo usò per un adattamento di I’d Rather Be With You giù fino a rintracciare la sua influenza in Prince o D’Angelo solo per nominare due “amici” di The Italian Soul. Da parte mia, dovrei iniziare a raccontare di quello che provai la prima volta che entrai in contatto con Mothership Connection, la traccia che dà il titolo a un disco monumentale di Parliament, ma fortunatamente possiamo evitare di scomodare i ricordi e rimanere nel presente.
Al netto di tutto questo, è legittimo per Bootsy Collins intitolare il disco del 2017 World Wide Funk e nessuno avrebbe più credibilità di lui nel proporlo e la forza per sostenerlo. È una festa con amici, il disco, alla quale siamo tutti invitati e che spesso condividiamo dentro The Soul Haven. Le voci nuove come quella di October London sono inserite nel viaggio insieme a quelle di Musiq Soulchild, Chuck D., Doug E. Fresh, Big Daddy Kane, la chitarra di Buckethead e il basso di Steve Clark.
Onestamente?

Mi aspettavo un album autoreferenziale e celebrativo, poggiato su antichi fasti che avrebbero soltanto avuto la forza (enorme, beninteso) del marchio Bootsy Collins. Così non è, fortunatamente, perchè World Wide Funk è qualcosa in più. È l’affermazione, a mio avviso, che c’è ancora spazio per la festa, per il ritmo, per muoversi. Anche nel 2017. A patto di saperlo fare.

Bootsy collins

C’è un sacco di gusto e forse sono gli ospiti che qualche volta indulgono nella tecnica facendo un po’ di confusione, ma in questa festa si possono perdonare questi piccoli lampi di ego mostrato probabilmente per non sfigurare di fronte a una leggenda. Diciamolo chiaramente: non ci sono suoni nuovi, non c’è fantascienza qui, c’è il funk fatto bene. C’è tanto divertimento, si traccia una rotta che va oltre quello che un algoritmo può proporre.

E propio per questo ci piace da impazzire. Lo dice anche Iggy Pop, nei primi secondi del disco:

“Bootsy Collins nacque molto, molto tempo fa in una caverna piena di dinosauri fosforescenti. Molto sotto il letto del fiume Ohio, prima che chiunque avesse mai sentito parlare dell’Ohio”

Beh, è ancora, è sempre Bootsy, Baby!

“Sebbene le nostre scelte siano determinate da cià che ci soddisfa e interiorizzate dai nostri sei sensi, nessuna di queste deve necessariamente avere un senso. Per ciascuna azione, c’è una reazione. Ricordi di quando il serpente entrò nel buco nero e diede via al manifestarsi della teoria del big bang e iniziò la vita così come la conosciamo adesso?”
(Bootsy Collins, My Journey To Find The One, dalla presentazione di “World Wide Funk”)

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