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D'Angelo & The Vanguard

D’Angelo & The Vanguard live @Milano

Martedì siamo stati al concerto di D’Angelo in occasione dell’Estathe Market Sound.

Penso che qualsiasi artista che fosse salito sul palco con quasi due ore di ritardo durante una delle serate più afose, calde e umide della mia vita mi avrebbe fatto leggermente incazzare. Ma martedì sul palco ci sono saliti D’Angelo & The Vanguard, ed io quelle due ore, oltre a soffrire il caldo, essere mangiato dalle zanzare, e rischiare lo svenimento per la mancanza d’aria, le ho passate in un turbinio di ansia, eccitazione, gioia e preoccupazione, come se stessi aspettando la persona più importante della mia vita.
Poi D’Angelo è arrivato; è arrivato Pino (Palladino), e Chris (Dave) e Jesse (Johnson); e tutto il resto dei The Vanguard di seguito. Si sono sistemati agli strumenti, ci hanno guardato un attimo… E basta. La successiva ora e mezza l’ho passata a saltare, cantare, urlare, piangere, esattamente come farebbe una dodicenne ad un concerto dei One Direction.
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Non ho mai saputo dare una perfetta motivazione della mia passione per questo genere di musica. Potrebbe essere un’influenza della musica paterna, così come lo è sicuramente anche una questione di personalità o di carattere, ma nessuna motivazione ha mai veramente centrato il punto. Almeno fino a pochi giorni fa, quando ho trovato una frase che secondo me definisce perfettamente quel qualcosa in più che mi fa amare profondamente la musica afroamericana. Questa frase l’ho trovata su Facebook, in mezzo al solito mare di cazzate, insulti e negatività. L’autore è Teo Marchese, batterista terribilmente groovoso attualmente in tour con Ghemon. Teo ha scritto: “Hip hop, soul, funk, R’n’B, afro beat… Insomma, la musica che preferisco… Essa ha come comun denominatore il perdersi dentro ogni nota ed il suonarla con tutto il cuore“.
È questo che per me (ma credo anche per molti altri) fa la differenza. È questo che mi emoziona: sentire in ogni nota la storia di chi la suona. La sofferenza, la gioia, la rabbia, la compassione, la felicità, la tristezza, condensate in ogni singola nota.
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Questo è ciò che fa si che io abbia pianto, saltato, urlato, tremato e cantato al concerto di martedì sera. Sul palco c’era D’Angelo, il mio artista preferito. Ha suonato e cantato (così come hanno fatto tutti i The Vanguard) la sua storia per me, e per gli altri che erano con me sotto il palco. Nei momenti più duramente funky come in quelli dolcemente soul, sul palco c’era un uomo che diceva: “questa cosa è me, è noi, ed è tutti voi; è la mia storia, è la storia che mi e ci ha preceduto: è la verità. Ed è ciò che vi voglio dare”.
Quella sera ho sentito l’anima della musica passarmi accanto, prendermi il cuore e palleggiarci come fosse una palla da basket, e fare lo stesso con chiunque fosse sotto il palco con me. Da martedì il ritmo che sentiamo nel nostro petto non sarà più lo stesso, ma sicuramente sarà migliore: siamo stati contagiati, e ora soffriamo tutti di una malattia molto groove. Scordatevi la guarigione… per fortuna.
Grazie D

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