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Diamante – Il Rap Come Strumento Educativo

Oggi sul nostro blog abbiamo ospite il rapper ed educatore romano Diamante, autore del brano Leone e ideatore di laboratori rap per ragazzi

Daniele Vitrone, in arte Diamante, è un rapper ed educatore romano, attualmente residente a Milano. Formatosi musicalmente nell’underground hip hop della capitale nel corso della carriera ha poi collaborato con i grandi nomi della scena rap nazionale. Negli ultimi anni una parte importante della sua attività consiste nel realizzare laboratori rap nell’area di Milano, raccogliendo pareri entusiastici da insegnanti, genitori e, soprattutto, ragazzi. Recentemente ha realizzato un brano per la colonna sonora de Il Pugile del Duce, film-documentario girato da Tony Saccucci dedicato alla figura di Leone Jacovacci, pugile afro-italiano tra i più forti al mondo della sua epoca, caduto nel dimenticatoio a causa della damnatio memoriae praticata a suo scapito dal regime fascista. Gli abbiamo fatto qualche domanda riguardo a questo brano, alla situazione del razzismo in Italia e nel mondo ed ai suoi laboratori

TIS: “Ciao Diamante e benvenuto sul blog di The Italian Soul. Siamo rimasti molto colpito da ‘Leone’, il tuo brano dedicato al pugile afro-italiano Leone Jacovacci. Come e perché è nato questo brano?
Diamante: “Un saluto a tutti i lettori del blog di The Italian Soul, è un piacere essere vostri ospiti! Il brano dedicato a Jacovacci è stata una cosa fatta di cuore. E’ nato tutto dopo aver letto Nero di Roma, libro di Mauro Valeri dedicato proprio a Leone Jacovacci. Valeri (scomparso di recente, N.D.R.), noto sociologo, professore universitario e responsabile dell’Osservatorio Antirazzismo nel calcio, era una persona che aveva molto a cuore il tema del razzismo in Italia. Anche io avevo anche collaborato con realtà come Rete G2 Seconde Generazioni, un’organizzazione fondata da persone nate in Italia, ma senza cittadinanza italiana (in Italia quando compi 18 anni hai un anno per ottenere la cittadinanza, spesso questo comporta grossi problemi per allinearsi con questo iter). Per questa organizzazione ho realizzato un brano, Straniero a Chi?, pubblicato poi in una compilation, oltre a partecipare a molte iniziative da loro promosse. Tramite una persona appartenente a Rete G2 ho conosciuto Mauro Valeri, che all’epoca aveva pubblicato il libro Black Italians, una raccolta di 39 storie di atleti italiani neri. Quando Valeri presentò Nero di Roma andai alla presentazione del libro, che mi fu regalato in quell’occasione dall’autore stesso. Leggendolo notai subito una citazione degli Indelebile Inchiostro, gruppo rap di Roma di cui facevo parte all’inizio della mia carriera musicale: “Vorrei darti la mia pelle /solo per questa sera / per poterti far vedere / qual è la guerra vera”. A Roma frequentavo piazzale Flaminio, che era una comunità multi-etniche, una delle prime della capitale. Con Indelebile Inchiostro incisi l’album Ne*ri de Roma, un’opera dal titolo emblematico e che già contemplava tematiche che mi sarebbero sempre state a cuore. Quando lessi il libro di Valeri su Leone Jacovacci pensai subito che avrei voluto dedicargli un pezzo: a Roma Jacovacci era famoso quanto lo è ora Totti, anche se oggi purtroppo quasi nessuno lo conosce. Quando vinceva si diceva che era grazie al suo sangue italiano, quando perdeva invece si attribuiva la sconfitta alla sua parte africana, considerata più istintiva. Leone era quindi la vittima perfetta di molti stereotipi fascisti, i quali furono la causa di altre decine di soprusi di cui fu suo malgrado protagonista. Non a caso al giorno d’oggi è rimasto molto più famoso Primo Carnera, probabilmente inferiore come pugile, ma considerato lo sportivo fascista per eccellenza. Uno dei più gravi episodi di discriminazione nei confronti di Jacovacci fu la mancata assegnazione della cittadinanza pugilistica italiana nei suoi anni migliori, fatto che ovviamente gli precluse molte possibilità di carriera. Affascinato da questa storia lessi, studiai e riassunsi a più riprese Nero di Roma, e pian piano cominciai a scrivere il brano. Per coincidenza un giorno mi contattò il mio professore di filosofia del liceo, Tony Saccucci, il quale si era dedicato alla regia e stava realizzando un film-documentario proprio su Jacovacci. Mi disse che collaborava con una persona che aveva partecipato alla realizzazione di un documentario che mi aveva visto come protagonista. Mi chiese se facevo ancora rap e se avessi avuto voglia di scrivere un pezzo partendo da una poesia in romanesco scritta da un lontano cugino di Leone presente sul libro Nero di Roma. Io accettai, anche se mi resi conto che musicare quella poesia non mi si addiceva, per cui gli mandai direttamente il mio pezzo. Tony, senza averlo ancora sentito, non ne fu convinto, non tanto per il pezzo in sé, ma piuttosto per il fatto che tutta la colonna sonora aveva un mood molto dolce e delicato, in contrasto con quello che esprimeva il brano che avevo realizzato. Finii comunque di realizzare il pezzo e decisi di mandarlo lo stesso al regista. Quando infine Tony ascoltò il pezzo, mi chiamò esclamando: ‘Sei matto! Devo per forza utilizzare il tuo pezzo. Lo inserirò appena prima dei titoli di coda’.”

TIS: “In quale modo pensi che ‘Leone’ possa colpire scuotere la coscienza dell’ascoltatore? Quali messaggi pensi che possa portare un brano del genere?
Diamante: “Nel momento in cui ho terminato questo pezzo ho capito di aver fatto una bella cosa. In esso secondo me c’è un concetto di ‘rabbia giusta’, concetto che penso dovrebbe essere più presente nel rap: se hai la possibilità di avere una certa cassa di risonanza, informati e informa. D’altronde ci sono anche europei o americani con discendenze afro che, come me, stanno ancora sviluppando e approfondendo una consapevolezza sulle proprie origini. Mi viene in mente un video di Beyoncè in cui veniva mostrato il lato tribale e primitivo dell’Africa e che per questo motivo attirò critiche di intellettuali afro-italia per la visione occidentalizzata della questione. Anche chi è nero, quindi, delle volte non è informato, crescendo in un certo contesto e vedendo le cose in relazione alla propria realtà. Un ulteriore concetto importante nella lotta alle discriminazioni è secondo me l’intersezionalità: le difficoltà e gli ostacoli incontrati da tutte le minoranze sono un grande conglomerato di problemi; non puoi supportare, ad esempio, le rivendicazioni della comunità lgbqt, ma non essere antirazzista: ogni discriminazione è intrinsecamente collegata alle altre, se sei contro il razzismo, lo sei in ogni situazione. Personalmente, mi fa piacere far parte di questa ondata contro i pregiudizi, e raccontare la storia di Leone è un ottimo espediente per parlare di razzismo in un paese come il nostro, dove purtroppo c’è ancora un problema da questo punto di vista. Lo faccio soprattutto per i ragazzi giovani considerati “diversi”, come potrebbe essere un adolescente non benestante e senza cittadinanza. A questi ragazzi il mondo in cui viviamo dice continuamente di non valere niente, e questa situazione li mette in una condizione di alto rischio da tutti i punti di vista. Si cresce con falsi miti, si ascoltano voci sbagliate, si prendono strade pericolose. Nei miei laboratori di rap racconto come il rap sia stato creato da guerra, odio, divisione e noia: per questo promuove i valori opposti, ovvero pace, amore, unità e divertimento. Purtroppo oggi questi valori sembrano il più delle volte andati persi, e pare che il denaro sia l’unico valore dell’hip hop”.

TIS: “Cosa ti ha ispirato (musicalmente e non) nella realizzazione di Leone’?
Diamante: “Le influenze, musicali e non, per Leone sono state molte e diverse. Innanzitutto, ovviamente, il libro di Valeri, su cui ho lavorato molto scrivendo appunti e realizzando riassunti. Poi molti storytelling americani come Madiba di Rakim, che personalmente ritengo un vero e proprio scienziato del rap. In questo brano su Mandela il suo storytelling si sviluppa partendo dalla data di nascita dell’attivista sudafricano, raccontando la sua storia e facendo alla fine la morale del racconto, con un tocco che ha qualcosa di supereroico. Un’altra influenza americana è stata Ms. Fat Booty di Mos Def, brano per certi versi un po’ frivolo che parla della sua storia con una ragazza: in un primo momento la protagonista non considera neanche il corteggiatore, anche se ovviamente finirà per innamorarsene. Ritengo lo storytelling di questo brano meraviglioso. C’è una parte di Leone, in cui si sente la campana tipica degli incontri di pugilato, in cui ho preso ispirazione da Second Round KO, brano di Canibus in cui il rapper si prepara a una sfida di rap come fosse un pugile. Mi sono rifatto anche a Rumble in the Jungle dei Fugees feat. A Tribe Called Quest e Busta Rhymes. Quest’ultimo mi aveva colpito per il suo flow molto matematico, ma allo stesso tempo strascicato: l’ho immaginato come una combinazione di pugni; non sono riuscito a riprodurlo, ma ho cercato di ispirarmi a quel tipo di atmosfera. Tutte queste influenze, insieme alla passione e la fierezza che comportavano scrivere un pezzo per Leone Jacovacci, mi hanno aiutato a tirare fuori un brano di cui sono orgoglioso, a cui sono riuscito a dare un qualcosa di epico”.

TIS: “Cosa pensi del periodo storico che stiamo vivendo in relazione al razzismo? Qualcosa sta cambiando?”
Diamante: “Credo che il cambiamento arrivi lentamente, certe idee hanno bisogno di tempo per entrare nel tessuto sociale per poi far parte di una cultura. Gli episodi di razzismo come quello di George Floyd sono sempre successi, ma probabilmente prima non c’era il substrato giusto di conoscenze e sensibilità, oltre che la visibilità, per avere una reazione popolare come quella a cui abbiamo assistito in questi mesi. Ho visto un’intervista ad Angela Davis, attivista per i diritti civili per diverso nella lista dei 10 criminali più pericolosi ricercati dall’FBI, la quale affermava come in questo periodo storico le proteste abbiano una risonanza molto più ampia, anche grazie alla crescita esponenziale dei social. D’altronde ormai tutto il mondo è connesso, anche a migliaia di chilometri di distanza. Anche per questo motivo probabilmente nel prossimo futuro molta più gente saprà cosa significa l’espressione ‘razzismo istituzionale’. Fortunatamente le nuove generazioni sentono sempre più l’esigenza di parlare di questi temi”.
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TIS: “Sappiamo che una delle tue principali attività sia la realizzazione di veri e propri laporatori rap per ragazzi. Raccontaci di questo aspetto del tuo lavoro”.
Diamante: “Il mio lavoro principale consiste nel portare avanti dei laboratori rap per ragazzi e ragazze. Il mio motto è ‘io vengo pagato, i ragazzi non pagano’. In questo periodo la mattina lavoro nei campus estivi, mentre durante l’anno scolastico lavoro sia nei doposcuola che in classe la mattina. A Milano ho lavorato tanto nei quartieri di Barona, Lorenteggio e Bonola. Un altro motto a cui tengo molto, tramandatomi dal grande Esa, è ‘l’hip hop è un mezzo, non un fine’, massima che cerco di tenere ben presente con i ragazzi perché voglio che vivano una bella esperienza. Realizzo quindi progetti contro il bullismo, contro la violenza di genere, e una volta mi è capitato anche di fare un progetto sul regolamento di una scuola. Ai ragazzi di questo liceo ho fatto scrivere il loro regolamento, espediente che è servito per ottenere qualche concessione in più dai dirigenti scolastici. Con i ragazzi delle medie facciamo sempre lavori di gruppo, li aiuta a lavorare insieme e a condividere il processo di creazione e la performance. Unità, rispetto ed entusiasmo sono le parole chiave che cerco di portare nel mio modo di lavorare, non a casa il mio laboratorio principale si chiama Unity Lab, che si svolge a Mare Culturale Urbano ed è dedicato a ragazzi e ragazze dai 15 anni in su. Con i più piccoli cerco di mantenere più disciplina e rigore. Non transigo su insulti gratuiti e razzismo, ci deve essere rispetto, che è uno dei valori cardine dell’hip hop”.

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