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Esperanza Spalding

Esperanza Spalding

Siamo stati al concerto di Esperanza Spalding al Teatro Sociale di Como.

Di artisti bravi al mondo ce ne sono tanti, anzi tantissimi, in ogni parte del mondo. Di artisti eccezionali, invece, se ne trovano molti meno. Ieri sera abbiamo avuto l’onore di assistere all’esibizione di un’artista una spanna sopra agli altri, un talento che ha quasi del mitologico e che segna chiunque abbia la fortuna di vederlo dal vivo, come è successo a chi scrive: l’esibizione di Esperanza Spalding.

Esperanza Spalding nasce a Portland 18 ottobre del 1984. Il suo primo vero approccio alla musica avviene attraverso le lezioni di violino, strumento che suonerà per dieci anni anche sotto la guida della madre (diventerà primo violino della Chamber Music Society dell’Oregon). Durante l’infanzia, a causa di una lunga e grave malattia, frequenta poco la scuola dell’obbligo, cosicché riesce ad avere molto tempo per  suonare strumenti come pianoforte, oboe e clarinetto. Esperanza, infatti, non scoprirà il contrabbasso fino all’inizio della sua adolescenza: inizierà a suonarlo solo dopo aver cominciato la High School.
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Il suo talento per questo strumento viene subito notato, tanto che diventerà dopo qualche anno prima alunna e poi la più giovane insegnante della Berklee, a soli vent’anni, praticamente subito dopo la laurea. Neanche due anni dopo Esperanza pubblica il primo dei suoi quattro album, “Junjo” (2006). Da questo momento in poi l’ascesa della bassista è costante e veloce: la sua notorietà, almeno nel mondo del jazz, comincia a crescere, prima grazie al discreto successo che ottiene l’album “Esperanza” (2008), molto più contaminato del precedente, fino poi ad arrivare alla definitiva consacrazione avvenuta con l’album “Chamber Music Society” (2011), che le vale un Grammy nella categoria Miglior Nuovo Artista davanti a gente ben più nota di lei come le band Florence And The Machine e Mumford & Sons, o i cantanti Drake e Justin Bieber.

Nel 2013 Esperanza vince un altro Grammy grazie all’album “Radio Music Society” (2012), fortemente influenzato da soul, funk ed R&B, nella categoria Miglior Album Jazz Vocale. L’album è stato finora il lavoro della cantante più apprezzato dal pubblico, essendo finito addirittura alla decima posizione nella classifica generale delle vendite USA. Esperanza è infatti riuscita ad avvicinare in modo egregio un pubblico appassionato di jazz ad un altro più propenso all’ascolto di rock, R&B, hip hop o soul.

Dopo un lungo tour per promuovere “Radio Music Society” Esperanza si chiude in studio per creare il suo ultimo incredibile progetto “Emily’s D+Evolution”:

“Ho fatto un sogno il giorno prima del mio compleanno nel quale percepivo che c’erano 10 scenette; vedevo il protagonista e ho capito che ero io. Ciò suona molto strano, ma è vero. E mi ha spaventato molto, quindi credo che significhi che è quello che devo fare, perchè solitamente quando qualcosa sembra strano e impossibile significa che è davvero una cosa buona, quindi è questo ciò che stiamo facendo”.

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Ed è esattamente questo ciò a cui abbiamo assistito ieri sera al Teatro Sociale di Como. Esperanza si è presentata senza la sua caratteristica chioma afro, sostituita da lunghe treccine, con grossi occhiali e un abbigliamento piuttosto aggressivo. Niente contrabbasso, solo due bassi elettrici. Anche l’ensemble aveva poco in comune con quelli solitamente usati dalla vecchia Esperanza: niente fiati, poco pianoforte, (suonato da lei stessa), una coreografia decisamente teatrale ed un lenzuolo di seta rock su un letto jazz. Abbiamo inoltre avuto esperienza della maturazione della cantante sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista stilistico. Nel corso degli anni Esperanza Spalding ha creato la sua cifra artistica da sola cercando la spiritualità in ogni nota, e non cessa di stupirci; non ha paura di mostrare il cambiamento (senza comunque snaturarsi mai) perché la sua è decisamente un’evoluzione, dovuta alla sua capacità di inglobare diverse contaminazioni in pochi anni. Apre i concerti parlando, raccontandosi intimamente, passando dal parlato al cantato con la classe che la contraddistingue, come una firma sul brano che ci sta suonando. Incredibili soprattutto i progressi di Esperanza sulla tecnica vocale: la sua presenza scenica è ancora più magnetica grazie ad un suono vocale centrato, meno arioso, e per il pubblico l’impressione è di avere davanti una specie di essere mitologico: metà donna e metà musica.

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Ma non è stata solo la musica a colpirci nello spettacolo di ieri. Esperanza ha infatti letteralmente messo in scena il sogno che ho citato poco sopra, perfettamente coadiuvata dai due coristi: i pochi momenti di pausa tra i pezzi si sono trasformati in frangenti di teatro quasi dell’assurdo, in cui è emerso anche un certo talento recitativo della bassista di Portland; inutile dirvi che siamo rimasti a bocca aperta davanti a un tale spettacolo. Una performance artistica a tutto tondo, non consueta nel mondo della musica e soprattutto per musicisti che orbitano intorno al mondo del jazz.
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Alla fine dell’esibizione, dopo un breve ‘encore’, abbiamo scambiato due parole con il fonico di Esperanza. Sapendo del legame di amicizia presente tra la Spalding e Prince, gli abbiamo domandato se i due avessero scritto qualche pezzo insieme:
“No, tutta la musica che avete sentito è farina del suo sacco. I pezzi, gli arrangiamenti, i testi: tutto è ideato e scritto da lei. Esperanza è un’artista che cerca sempre di spingersi oltre i propri limiti, che non si accontenta mai. Credo sia davvero una musicista eccezionale”.

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