Jazzmi, una ventata di black music su Milano.
Il 15 novembre scorso si è chiusa la prima edizione di Jazzmi, festival milanese che ha portato una ventata di freschezza musicale sul capoluogo lombardo, da troppo tempo orfano di una rassegna black-oriented degna di questo nome. Tra i tanti artisti presenti nella line-up del concerto, solo tre sono stati quelli che abbiamo avuto l’opportunità di vedere: Bill Laurance, tastierista degli Snarky Puppy ora in tour con la sua band, il giovane prodigio Jacob Collier (entrambi il martedì 8 novembre al Teatro dell’Arte) e l’esuberanza artistica dei Robert Glasper Experiment (sabato 12 novembre, sempre al Teatro dell’Arte).
La nostra esperienza è iniziata con il britannico Laurance, fresco vincitore di un Grammy proprio con gli ormai celeberrimi Snarky Puppy, il quale sta portando il suo progetto da solista sui palchi di mezzo mondo con un discreto successo. D’altronde non sono certo curriculum e talento a mancargli, così come non manca di influenze e contaminazioni la proposta musicale del tastierista londinese: jazz, funk, soul, tocchi di rock e pop qua e là, un po’ di progressive, un pizzico di hip hop, e la pietanza è servita. Un live che a noi è risultato godibile, anche se non straordinario, probabilmente perché in trepidante attesa del secondo atto della serata, la vera ragione per cui acquistammo il biglietto qualche mese prima.
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Sono circa le 23 quando il ventiduenne Jacob Collier, piccolo grande genio musicale (anch’egli inglese) diventato famoso grazie ai suoi incredibili video completamente auto-prodotti, conquista la scena esattamente con l’energia e l’esuberanza che ti aspetteresti da un prodigio del suo calibro. Jacob è solo, circondato unicamente dai numerosi strumenti che mano a mano suonerà durante la serata: due tastiere davanti a sè, batteria e percussioni alla sua destra, basso elettrico e chitarre dietro di lui, pianoforte a coda e contrabbasso alla sua sinistra. Sopra la sua nuca vi è uno schermo dove ogni suo minimo movimento viene proiettato grazie a tre telecamere poste di fronte a lui. Il concerto può avere inizio. O forse no; diversi problemi audio rovinano in parte la prima mezz’ora dell’esibizione. Con grande professionalità, però, Jacob non si fa prendere dal panico, tenendo il palco come un veterano, anche quando il volume delle basi (indispensabili in uno spettacolo dove il musicista è uno ed uno solo) si abbassa fino a farle sembrare lontane e fiacche. Passata la paura, il nostro artista può continuare a suonare senza patemi, cosa che fa con grande profitto: ad ogni brano lo si vede passare dalle percussioni alla batteria, dal basso al pianoforte, dal contrabbasso alle tastiere, senza dimenticare la voce angelica che continua a produrre incessantemente note; ogni brano (con l’eccezione di qualche pezzo piano/voce) è una continua corsa da destra a sinistra, da sinistra a destra: da far girare la testa insomma. Tutta la genialità, l’estro, la bravura tecnica e la velocità di pensiero di Collier sono messe in mostra alla massima potenza al pubblico pagante. Purtroppo, la sensazione è che il tutto si fermi lì o poco oltre: una dimostrazione di bravura, ma non moltissimo di più. Con una band ben assemblata magari la spettacolarizzazione ne avrebbe risentito, ma di sicuro non la musica, l’eccitazione, la condivisione (tra musicista e musicista e tra musicista e pubblico). Jacob, ti aspettiamo con qualche amico la prossima volta…
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Dopo qualche giorno è la volta di uno dei più talentuosi, prolifici, idolatrati e rispettati pianisti della sua generazione: Robert Glasper. La sera del 12 Robert, in tour con il suo progetto Experiment, del quale fanno parte anche Casey Benjamin (sax, voce), Derrick Hodge (basso) e Mark Colenburg (batteria), giunge a Milano fresco della pubblicazione di ArtScience, suo nono album, uno stravagante concentrato di hip hop, R&B, funk, jazz (spesso nelle sue forme più “estreme”), drum & bass e neo soul condito da massicce dosi di pop; il disco, per buona parte della sua durata, presenta la voce di Casey Benjamin filtrata da un vocoder, passando poi improvvisamente ad assoli di piano o di sassofono dal sapore quasi avant-garde, in un tentativo costante di spiazzare chi ascolta. Ovviamente anche il concerto è strutturato in ugual modo, con Casey Benjamin assoluto protagonista, quasi più dello stesso Glasper. La musica proposta, come avrete capito, non è di facile ed immediata assimilazione e per questo motivo, sebbene la meraviglia per la mostruosa bravura dei musicisti non sia mancata, non arriva quell’impatto emotivo che ci aspettavamo da un concerto su cui avevamo un mare di aspettative. Avere davanti agli occhi (e alle orecchie) una lastra di plexiglass alta un metro non aiuta: se mai andreste al Teatro dell’Arte, vi sconsigliamo di acquistare i biglietti nell’ultima fila della galleria, potreste perdere il 50% dell’emozione disponibile. In definitiva, comunque, l’operazione artistica compiuta dal pianista texano ci ha convinti meno del solito, forse anche traditi da aspettative, in qualche modo errate, ancora ancorate alla musica dei due capolavori Black Radio 1 e 2; certo è che non possiamo dire di non esserci divertiti.
Sebbene le nostre aspettative sui due “big” che siamo andati a sentire siano state parzialmente tradite, non possiamo dire che l’esperienza sia stata negativa, anzi; la prima edizione di Jazzmi ci è sembrata quanto di più promettente ci possa essere, lasciandoci con un grosso sorriso stampato sulla faccia, soprattutto pensando alle potenzialità future di una rassegna del genere. Milano merita un festival jazz di livello internazionale come tutte le grandi città europee, sia per la grande tradizione jazzistica che si porta dietro, sia per le potenzialità, economiche e non, che tale manifestazione può generare. E ce lo meritiamo noi appassionati, musicisti e musicofili milanesi (e limitrofi), da troppo tempo orfani di una cascata di grandi nomi come quella appena passata dal capoluogo lombardo. Sperando che tutto non sia finito qui… le prospettive, almeno questa volta, sembrano sorriderci. Ci riaggiorniamo tra un anno (si spera). E grazie, Jazzmi.