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Lalah Hathaway

Lalah Hathaway

Donny Hathaway era un mostro sacro, ma Lalah Hathaway non è da meno.

Ho sempre cercato di immedesimarmi nei cosiddetti “figli dal cognome pesante”, provando un misto di ammirazione e pena per la loro condizione spesso non magnifica (per usare un eufemismo). Certo, esistono anche casi in cui il nome può essere stato d’aiuto, o casi in cui il figlio ha superato quanto fatto dal padre, ma si tratta di numeri decisamente bassi. Anche nella musica è pieno di esempi del genere, e qualcuno l’abbiamo anche nel campo del soul. Uno dei più celebri ed esemplificativi è sicuramente quello di Lalah Hathaway, figlia e “collega” del mostro sacro Donny Hathaway.

Elaulah Donyll “Lalah” Hathaway nasce il 16 dicembre 1968 a Chicago da Eulaulah e Donny Hathaway. Il suo destino (come ammette lei stessa) non è mai stato in discussione: sia lei che chi le stava vicino sapevano che la sua strada sarebbe stata solo una: la musica.

“…Sono sempre stata una musicista. Non c’è mai stato un momento in cui mi fossi detta: ‘forse lo diventerò’…”.
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Queste sono le parole di Lalah stessa riguardo alla propria scelta di vita. D’altronde, crescendo in una famiglia del genere, difficile pensare ad un destino diverso per lei. Lalah non ha però certo avuto la strada spianata dal pesante cognome che si è ritrovata: studio e sacrifici sono stati la base per diventare l’incredibile musicista che è oggi, spinta anche dall’esempio dei genitori. Per quanto riguarda il campo extra-musicale, neanche l’infanzia è stata facile per la piccola Hathaway. Chi conosce bene il padre sa della sua tragica morte, ancora avvolta nel mistero (si crede sia stato suicidio, ma la certezza non si è mai avuta completamente): Lalah, al momento della scomparsa di Donny, aveva solo dieci anni.
Forse proprio grazie allo studio della musica la cantante trova conforto e vicinanza al proprio illustre padre prematuramente scomparso. Non stupisca quindi che sia una delle più celebri alunne del Berklee College of Music, una delle accademie musicali più famose al mondo. Proprio durante l’ultimo semestre di studi alla Berklee, Lalah venne messa sotto contratto dalla Virgin, con cui rilascia il singolo “Inside the Beat” e comincia a registrare il suo primo album.
Già da questo primo lavoro il manifesto artistico della cantante di Chicago è chiaro, come possiamo capire dalle sue parole: “…Non ho mai voluto essere conosciuta solo come una cantante. Infatti ho sempre cercato di essere una musicista completa, con la voce come strumento primario…”. Lalah infatti non solo canta, ma suona, produce e arrangia la musica che crea. Così avviene in parte in “Lalah Hathaway” (1990), disco che ha il merito di cominciare a far conoscere la cantante nell’ambiente r&b (e con quel nome è difficile non essere cuoriosi) grazie alla 18esima posizione nella ‘top r&b/hip-hop album chart’.
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Nel 1994 Lalah pubblica il suo secondo album, “A Moment”, il quale la consacra nel campo del soul e dell’r&b, permettendole, negli anni successivi, di collaborare con grandi musicisti come ad esempio Marcus Miller, Take 6, Mary J. Blige e Joe Sample. Con il fondatore dei Crusaders pubblica un album, “The Song Lives On” (1999), che sarà l’album di maggior successo sia per Sample che per la Hathaway.
Dopo un album di buon successo nel 2004 (“Outrun the Sky”) e diverse collaborazioni o apparizioni in album non suoi, Lalah viene messa sotto contratto dalla storica etichetta soul Stax, con la quale ha pubblicato i suoi ultimi due album in studio, “Self Portait” (2009) e “Where It All Begins” (2011), i due dischi di maggior successo commerciale di Lalah.
Gli ultimi anni per la figlia di Donny sono stati forse quelli più forieri di successi. Lalah ha infatti vinto, seppure in collaborazione prima con gli Snarky Puppy e poi con Robert Glasper, ben due Grammy Awards, primi veri riconoscimenti ufficiali della critica musicale nei suoi confronti. Proprio venerdì, invece, è uscito il suo primo album live, “Lalah Hathaway Live!”, una stupenda raccolta di suoi successi e di cover (anche del padre).
È indubbio, comunque, che Lalah Hathaway non sarà mai una star a livello di suo padre, soprattutto essendo nata e cresciuta in un’altra epoca molto meno fortunata per la musica black; sarebbe abbastanza stupido ed imprudente pensare il contrario. Ma è ugualmente indubbio che il talento della cantante di Chicago sia innegabile, sia per quanto riguarda la sua voce incredibile, in alcuni tratti molto simile a quella di Donny, sia per quanto riguarda la sua professionalità, la sua creatività e la qualità della sua musica. Lalah è universalmente apprezzata da critici, musicisti e pubblico ed è una delle ‘performers’ jazz e soul più richieste al mondo, sia per quanto riguarda festival e concerti che per quanto concerne collaborazioni artistiche. Pochi musicisti infatti incarnano lo spirito della musica afroamericana come lei è capace di fare: non è solo una questione di bravura tecnica o conoscenza musicale, ma anche una questione di cultura. Ovviamente, sotto questo aspetto, Lalah è sempre stata in una posizione privilegiata considerando le sue origini sia familiari che geografiche: il soul (e la musica in generale) è stato il suo pane quotidiano fin dalla nascita.
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Personalmente credo che l’importanza di un’artista con questa storia e questo background musicale e culturale sia attualmente sottovalutata; ma forse è giusto così: non sono il successo né la fama infatti gli obiettivi di Lalah Hathaway, bensì la musica, il trasmettere un messaggio, il far rivivere uno spirito che noi possiamo solo immaginare e sognare, e che lei ha vissuto invece sulla propria pelle. Ben più di una cantante quindi, ben più di una musicista, ben più di una ‘performer’: Lalah Hathaway è una vera e propria testimone, e ha scelto di raccontare a tutti il Soul. Quello vero.

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