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The Jazz Loft Project

The Jazz Loft Project, ovvero uno dei più grandi archivi audio-visivi nella storia del jazz.

Immaginatevi di essere appassionati di jazz (se non lo siete già) e di abitare a New York a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60: il paradiso. Avete a vostra disposizione la crème de la crème della scena jazz americana quasi ogni sera in diversi punti della città. E’ in questo contesto meravigliosamente vivace e creativo che si svilupperà uno dei progetti audio-video-fotografici più imponenti per quanto riguarda la musica (non solo jazz). Un progetto che sarà poi denominato The Jazz Loft Project.
William Eugene Smith nasce a Wichita, in Kansas, il 30 dicembre del 1918. Già in tenera età comincia a fotografare, tanto che, non appena finisce la High School, inizia la sua carriera di foto-giornalista per due quotidiani locali. Questa fase iniziale non dura molto: dopo pochi mesi Smith si trasferisce a New York e inizia a lavora per Newsweek. La sua fama di perfezionista e la sua personalità pungente contribuiscono a creare un alone di venerazione intorno al fotografo, il quale però dopo due anni viene licenziato a causa del suo rifiuto di lavorare con fotocamere a medio formato.
La disgrazia diventa opportunità: Life lo assume nel 1939. Da questo momento la fama di Smith cresce a dismisura: i suoi report fotografici di guerra diventano iconici e leggendari, così come sa di eroismo la grave ferita alla faccia che si procura nel 1945 ad Okinawa. Dopo essere faticosamente guarito, lavora ancora per Life fino al 1955, quando, dopo una polemica con la direzione della rivista riguardo l’uso della stessa di alcune sue foto, si licenzia.
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Fino al 1957 si dedica ad un progetto sulla città di Pittsburgh commissionatogli dall’agenzia Magnum. Inizialmente il progetto sarebbe dovuto durare tre settimane, ma Smith andò avanti a fotografare la città per quasi tre anni, ottenendo così una quantità di negativi talmente enorme da diventare quasi inutilizzabile, almeno per una mostra. Il fotografo decide così di mettersi in proprio, desideroso di maggiore libertà e creatività: lascia moglie e quattro figli a casa e si trasferisce in un loft nella 821 Sixth Avenue. Questa strada, in quell’epoca, era un luogo di incontro per i migliori musicisti jazz della scena newyorchese; ci bazzicavano infatti nomi come Charles Mingus, Bill Evans o Thelonious Monk, tanto per fare qualche esempio, nonché innumerevoli personaggi dai nomi meno altisonanti, ma affascinanti componenti dello scenario underground.
I musicisti cominciano così a frequentare il loft, e le interminabili sessioni di quei mostri sacrivengono catturate dall’infaticabile obiettivo  di Eugene Smith, il quale, dal 1957 al 1965, produce qualcosa come 1.447 bobine di materiale video, più di 40.000 mila fotografie e quasi 4.000 ore di audio. I musicisti filmati, registrati e fotografati furono più di 300. Tra questi ci sono delle assolute leggende del jazz come Roy Haynes, Alice Coltrane, Thelonious Monk, Roland Kirk, Bill Evans, Don Cherry e moltissimi altri. Insomma, Smith riesce a catturare la storia del jazz (e dell’arte in generale: personaggi come Dalì erano quotidianamente presenti nell’appartamento) di quegli anni con i suoi strumenti in quel piccolo loft, creando un tesoro documentario di valore e dimensioni inestimabili.
Questo enorme patrimonio non sarà più toccato a partire 1978, anno della morte di Smith, quando viene archiviato al CCP (University of Arizona). Solo nel 1997 uno studente e futuro scrittore, Sam Stephenson, comincia ad ascoltare, guardare e infine studiare l’enorme quantità di materiale prodotta dal fotografo. Inizia così in questo modo quello che oggi conosciamo come The Jazz Loft Project.
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Stephenson impiega gran parte del suo tempo, a partire da quell’anno, nello studio e nella catalogazione sistematici delle foto e delle registrazioni di quello che oggi chiameremmo un reality show: microfoni e obiettivi costantemente puntati sui “protagonisti”, in questo caso personaggi di spicco dell’arte di quel tempo, riuniti in un solo luogo a parlare, suonare, mangiare, dormire, etc. A partire dal 2009, anno in cui è stato stimata la catalogazione e lo studio di circa due terzi del materiale, il progetto è stato portato (con successo) in radio, esibito in occasione di diverse mostre, pubblicato sottoforma di libro e diffuso sul web, come potete vedere nei video presenti in questo articolo.
Il lavoro da fare su questo materiale è ancora molto e parecchio lungo, ma potete capire quanto fondamentale possa essere un tesoro artistico di tale valore. Sentire e vedere come i musicisti più geniali del secolo scorso lavorassero, osservare i pregi e difetti di un Roy Haynes o di un Chick Corea, imparare dalle virtù e dagli errori di un Lee Konitz o da un Gerry Mulligan: tutto questo è e sarà possibile grazie a The Jazz Loft Project, forse uno dei più grandi spaccati sulla musica jazz che l’uomo abbia a disposizione.
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