The Miseducation Of Lauryn Hill, un pietra miliare irripetibile della black music.
Dopo aver rilasciato nel 1996 il bellissimo album “The Score”, con i Fugees, Lauryn Hill si separava dal gruppo per dare vita a un lavoro che avrebbe aggiunto un tassello importante al neo-soul anni ‘90: “The Miseducation of Lauryn Hill”. Registrato tra New York e Kingston (Giamaica), questo disco è composto da 14 tracce (più due bonus-tracks) che trattano tematiche come la maternità, le gioie e le difficoltà delle relazioni amorose, la spiritualità e le problematiche conscious, traendo ispirazione dalla Bibbia e dai Vangeli. Musicalmente e principalmente le cifre stilistiche predominanti sono neo-soul, R&B e hip-hop, oltre che elementi funky, latini, blues e reggae, con Lauryn Hill che sa mostrarsi sia un’ottima rapper, dotata di flow ineccepibile, che una brillante cantante soul.
In quel periodo la cantante del New Jersey aveva collaborato sia all’album di Aretha Franklin intitolato “A Rose Is Still A Rose”, che con Whitney Houston in “My Love Is Your Love”. Con “The Miseducation”, Lauryn mette a nudo tutta sè stessa, grazie a brani che esprimono i suoi stati d’animo e che a tratti si mostrano anche autobiografici. Lasciamo allora che sia la musica a parlare e lasciamoci rapire da tracce come “Lost Ones”, in cui, in un agguerrito rap, mostra tutto il suo risentimento contro il suo ex Wyclef Jean, con lei anche nei Fugees, oppure da “Ex-Factor”, soffice e stiloso pezzo soul sull’importanza dell’amor proprio e dell’essere sè stessi. Ottimo anche il groove travolgente del singolo “Doo Wop (That Thing)”, canzone egualitaria sia per uomini che per donne, un monito ai primi a non lasciarsi prendere troppo dalla materialità, e alle seconde a non farsi soggiogare dai loro compagni. Il mitico Carlos Santana ci regala le sue note chitarristiche latineggianti in “To Zion”, dedicata al figlio di Lauryn appunto chiamato Zion, avuto da una relazione con Rohan Marley, uno dei figli del grande Bob, mentre Mary J.Blige impreziosisce “I Used To Love Him”. Il funk wonderiano lo troviamo in “Every Ghetto, Every City”, grazie alla presenza della tastiera clavinet, più soulful, romantica e vellutata è “Nothing Even Matters”, arricchita dalla partecipazione di D’Angelo. La sua è una presenza che è come la ciliegina sulla torta, sia nella traccia che nell’intero album. Un allora sconosciuto John Legend (qui accreditato col suo nome anagrafico John R.Stephens) suona il pianoforte in un altro dei pezzi forti del disco, “Everything Is Everything”, brano carico di coscienza sociale.
In circa 77 minuti e rotti Lauryn Hill ci catapulta in musica carica di groove, capace di agitare le coscienze, grazie a un brillante ed efficace songwriting e grazie a dell’ottimo sound che proietta la tradizione soul in una nuova dimensione spazio-temporale. L’album, oltre a ricevere numerose recensioni positive, otterrà varie certificazioni oro, platino e diamante, eserciterà un enorme impatto sul soul e sull’hip-hop degli anni a venire e verrà inserito in numerose classifiche di varie riviste musicali autorevoli come Rolling Stone, Vibe, The Guardian e Mojo, tra le altre. Importante anche l’apprezzamento da parte della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, che lo ha considerato “culturalmente e storicamente importante”. “The Miseducation of Lauryn Hill”, a 25 anni dalla sua pubblicazione, conserva ancora intatto il suo fascino e si ritaglia un posto di grande rilievo nella black-music contemporanea. E’ un lavoro che può sedere accanto ad altri album neo-soul blasonati, su tutti “Baduizm” di Erykah Badu” e “Voodoo” di D’Angelo, oltre che rappresentare un unicum nella storia della soul-music moderna, in quanto si rivelerà irripetibile. A esso farà seguito, nella scarna discografia della Hill, l’apprezzabile unplugged per MTV del 2002 per chitarra e voce, opera tra folk, blues e soul acustico che è a tutti gli effetti anch’essa un album di inediti.
Francesco Favano