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Charles Bradley

Charles Bradley, 1948-2017

Qualche giorno fa ci ha lasciati Charles Bradley, senzatetto diventato famoso all’età di 60 anni.

Sabato 23 settembre si è spento Charles Bradley, uno dei cantanti simbolo del soul classico degli anni 2000. Bradley, che avrebbe compiuto 69 anni a novembre, soffriva da tempo di tumore allo stomaco, malattia che si era aggravata negli ultimi tempi e che purtroppo non gli ha lasciato scampo, bloccando la sua ancora giovane carriera da musicista di fama, iniziata con l’album No Time For Dreaming del 2011. Vi chiederete per quale motivo un uomo di tale età sia arrivato al successo così tardi. Be’, la storia di Charles Bradley è quanto di più avvincente, straziante e, allo stesso tempo, in qualche modo confortante ci possa essere in questo mondo. Un esempio di come con tanta determinazione, sacrificio, sofferenza (e anche un pizzico di fortuna), niente ci sia precluso.

Bradley nasce e cresce a Gainesville, Florida, cittadina abbastanza anonima due ore a nord di Orlando. L’infanzia porta già molta sofferenza al futuro cantante: la madre lo abbandona a soli otto mesi di età, salvo poi ripresentarsi otto anni dopo per trascinare il proprio figlio a Brooklyn. Appena adolescente, verso i 14 anni, Charles letteralmente folgorato dalla musica di James Brown durante il suo famoso live all’Apollo Theatre. Comincia a imitarlo in tutto e per tutto, sognando una carriera nella musica che ripercorra le sue orme. Purtroppo le cose non vanno come sperava: è costretto a lasciare la propria casa a causa delle condizioni di povertà estreme in cui viveva, ma ben presto si ritrova a dormire nelle stazioni del metro per ben due anni, prima di fare un corso da chef, che gli diede la possibilità di trovarsi un lavoro. Dopo aver girovagato per gli Stati Uniti, si stabilisce definitivamente in California nel 1977, dove per quasi 20 anni, oltre a fare diversi tipi di lavoro, farà piccoli show come impersonatone proprio di James Brown. È in questo periodo che si guadagna il soprannome di Aquila Urlante.

A metà anni ’90 viene contattato dalla madre, che vuole ristabilire i rapporti col figlio: Charles torna così a Brooklyn. Nemmeno questo è un periodo facile, tanto che il cantante rischia di morire per uno shock anafilattico in reazione alla penicillina e assiste all’omicidio di suo fratello, ucciso sotto casa della madre. Bradley peró ovviamente non abbandona la musica, e continua ad esibirsi, stavolta sotto lo pseudonimo di Black Velvet. Agli inizi del 2000, la svolta: lo vede esibirsi Gabriel Roth, co-fondatore dell’etichetta soul Daptone Records, e se ne innamora. Non passa molto tempo che, nel 2002, Charles Bradley incide i suoi primi brani su vinile insieme alla band che gli rimarrà sempre fedele, la Menahan Street Band.



Dieci dei brani incisi in questo periodo saranno scelti per dare vita al primo disco vero e proprio di Bradley, No Time For Dreaming (2011). Da questo momento in avanti, la carriera del cantante nato in Florida è in costante e precipitosa ascesa: la sua voce conquista tutti al primo ascolto, così pregna della sofferenza e delle difficoltà che il suo possessore ha dovuto affrontare nel corso della propria vita, ed è perfettamente accompagnata dal suono inconfondibile della Menahan Street Band e della sapiente produzione di Thomas Brenneck, fautore del marchio sonoro della Daptone Records.

Charles Bradley è stato un musicista importante per il soul dei nostri tempi, non tanto perché abbia inventato qualcosa di particolare, anzi, proprio forse per il suo stile “nostalgico”, ma perfettamente coerente e consapevole, che ha colpito la coscienza musicale di parecchi giovani (e anche meno giovani), impossibilitati a sapere cosa volesse dire assistere a un concerto di James Brown, Curtis Mayfield o Bobby Womack. Certo, forse non si può paragonare lo spessore artistico di questi ultimi con quello di Bradley, ma un po’ di quella magia, tipica degli show dell’epoca, è probabile che sia arrivata a molte persone, altrimenti ignare.

R.I.P. Charles Bradley!

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