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da Black Jezus Album

Da Black Jezus – They Can’t Cage The Light

E’ fuori They Can’t Cage The Light, nuovo LP dei Da Black Jezus

Ci fa sempre un gran piacere avere la possibilità di tornare a parlare di qualche nostro pupillo sul blog. Oggi quella possibilità si ripresenta grazie all’uscita di They Can’t Cage The Light, primo LP del duo siciliano Da Black Jezus, pubblicato dall’etichetta Weapons e distribuito da Family Affair/Sounday.  Era l‘inizio del 2015 quando parlammo per la prima volta dei Da Black Jezus, i quali avevano da poco pubblicato Don’t Mean A Thing, EP che apprezzammo dal primo ascolto. Da lì è nata una bella amicizia con Luca Impellizzeri, cantante, chitarrista e autore di testi del duo (completato da Ivano Amata a synth, chitarre, drum machine e xilofono), che ci ha portati a collaborare diverse volte, anche per quanta riguarda il blog stesso.


              
“… è un disco che sviluppa un discorso di redenzione, di rinascita, che racconta la resilienza dell’uomo di fronte alla luce, tutto attraverso una costante dialettica dicotomica di opposti: l’arcaico spiritual e l’odierno synth, la legnosa chitarra folk e la ruvida batteria trap, il buio e la luce…”: così viene presentato il disco dal duo formatosi a Troina (Enna) nel dicembre del 2012.  L’album si apre con la titletrack, They Can’t Cage the Light, spiritual che annuncia la colonna tematica portante dell’album: la luce oltre il buio. Si prosegue con Ways, brano in cui la chitarra roots blues si mischia agli arpeggi di synth bass, il momento più “scuro” del disco. You Made the Rules è la terza traccia tra psichedelia, folk e trap. Si passa poi al primo singolo dell’album, Dry, un crepuscolo electro-pop prodotto da John Lui (Aretuska). Il trip hop di Don’t Mean a Thing apre la seconda parte del disco che con Emptiness Is You, brano fatto di basso potente e robusti fraseggi chitarristici, comincia a far intravedere toni più chiari. A seguire una ballad harperiana, Like Holy Water, un ricambio d’aria di solo voce, chitarra acustica e rifiniture di elettrica. Il disco si avvicina alla fine con A Matter of Time, ispirata al vissuto di Martin Luther King Jr, un dolce carillon dylaniano che racconta di speranza, di come il tempo sia gentile con i buoni e impietoso coi bugiardi. E Sometimes è il brano da gran finale e non può che essere un crescendo: rhodes sporco ma onesto, drumming obliquo ed avvolgente, chitarre slide in risposta. Un eloquente falsetto gospel a chiuder battenti: è arrivata la luce.

L’album evidenzia l’eclettismo degli ascolti dei due musicisti siciliani. Ci troviamo tanto folk, forti influenze blues, riferimenti a soul, hip hop e musica elettronica in abbondanza, oltre alla immancabile vena cantautorale; essa non può proprio mancare, considerata la carriera parallela da scrittore che Impellizzeri porta egregiamente avanti da tempo. Dopo l’hype creatosi intorno all’EP Don’t Mean a Thing non era banale migliorarsi, eppure i due ragazzi ci sono riusciti, realizzando un disco che si candida ad essere uno dei migliori nella scena musicale indipendente italiana attuale, con qualcosa in più degli altri (secondo noi): una grande conoscenza di quello che c’è stato e un forte desiderio di anticipare quello che sarà.

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