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Green Book

Green Book – Il viaggio della dignità

Green Book è un film che apre dibattiti sui confini tra gli uomini e la musica.

Green Book non è solo un road movie attraverso l’America razzista degli anni 60, è un film che apre dibattiti sui confini tra gli uomini e la musica. La regia è di Peter Farrelly. Tratto da una storia vera, è un film coinvolgente, dal crescendo delicato e armonioso che entra dalla testa e si sente nella pancia, tra sorrisi amari e calde lacrime di tenerezza, un crowd pleaser davvero emozionante.
Racconta di un’amicizia nata tra un italoamericano e un afroamericano in un tour di due mesi attraverso il profondo Sud degli States con una stupenda Cadillac DeVille turchese e una guida automobilistica:
The Negro Motorist Green Book (Guida stradale per Neri).


Un vademecum salvavita “negro friendly” che elenca alberghi, locali e pompe di benzina per afroamericani, per un viaggio confortevole, senza problemi ma soprattutto per non crearne.
Si perché uno dei due è Don Shirley (Mahershala Ali), talentuoso pianista e compositore afroamericano. Elegante e fragile, ricco e solo nel suo essere un fuoriclasse.

È il 1962, siamo a New York e Shirley deve partire per un tour di concerti con The Don Shirley Trio. Ingaggia Tony Lip come autista, guardia del corpo e assistente. Perché per un nero guidare un’auto e viaggiare verso il Sud è decisamente complicato e pericoloso. Tony ha le referenze giuste.
Tony Lip, pseudonimo di Frank Anthony Vallelonga (Viggo Mortensen), un buttafuori italoamericano orgoglioso del suo essere un autentico grezzo dall’animo buono, padre e marito, rimasto senza lavoro accetta l’incarico.

Tony non è propriamente razzista (anche se chiama i neri melanzane) ma piuttosto carico di pregiudizi sociali. È un ragazzo del Bronx che vive ai limiti della legalità.
La paga offerta è buona e il viaggio inizia.

Due uomini molto lontani tra loro per origini, stili di vita e ambizioni che adesso hanno bisogno uno dell’altro. Un autista bianco che guida l’auto per conto di un nero seduto sul sedile posteriore. Un’immagine che in quegli anni faceva molto scalpore.
Questo viaggio li avvicinerà.

Chi non ha fatto un lungo viaggio in auto e si è ritrovato a raccontarsi? Quando quei sedili diventano un confessionale, il mondo che scorre fuori e la musica che esce dalla radio creano atmosfere e sciolgono la lingua.

Il ’68 è lontano.
La segregazione razziale è viva nel profondo Sud. L’affermazione dei diritti civili continua il suo travagliato cammino.

C’è la musica dei bianchi, la musica dei neri, la musica nera “rubata” dai bianchi e la musica che i neri non possono suonare.
Ma la musica ha padroni?
La radio trasmette “Lucille” di Little Richard. Don Shirley non la conosce. È il momento di “Won’t Be Long” dell’immensa Aretha Frankin e non conosce neanche questa. Non conosce i più popolari musicisti e cantanti di colore e Tony è incredulo. È più vicino lui a quella realtà.
Shirley non frequenta la comunità afroamericana, ha avuto una formazione musicale classica da bianco. Ha iniziato a studiare pianoforte all’età di due anni. A nove il conservatorio di Leningrado e la sua carriera di musicista è stata un crescendo tra acclamazioni e popolarità.  La sua vita è lontana dalla comunità nera e non rispecchia il colore della sua pelle. Non frequenta fratelli neri. Lontano da New York, giù dal palcoscenico, separato dal suo pianoforte e terminate le sue esibizioni, lui subisce esattamente le stesse discriminazioni.

La bravura di un intrattenitore viene riconosciuta ma non la dignità di uomo, di un artista. Questo spinge Shirley a organizzare con la sua casa discografica quel tour di propaganda non violenta e piena di dignità. “Perché per cambiare i cuori delle persone ci vuole coraggio”.
A New York, l’essere italiano di Lip ha molti punti in comune con l’essere di colore. Questo aiuta Don Shirley a vivere una realtà più terrena, a essere un po’ più umano e meno lontano, isolato e distante. Anche Tony fa parte di una categoria discriminata, che comprende bene quella condizione ma reagisce più con la rabbia che con le parole.

“Se per te non sono abbastanza nero e per loro non sono abbastanza bianco, se non sono abbastanza uomo allora dimmi chi diavolo sono io?!?”
Ecco che li si manifesta tutto il suo dramma, la sua solitudine e inquietudine, l’essere applaudito come pianista e l’essere escluso come uomo. Shirley è consapevole della sua posizione e con dignità difende quelli che considera non solo diritti ma la dignità di essere umano.
NOTA: Kris Bowers, autore della colonna sonora di Green Book è colui che nel film ha “prestato le mani” a Shirley raddoppiando letteralmente il pianoforte di Ali con una moderna tecnica cinematografica.

Rosa Nigro


 

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