50 anni dopo la sua uscita andiamo alla riscoperta di Everything is Everything, primo album di Donny Hathaway.
Nonostante la sua breve carriera e vita (terminata col suicidio nel 1979 a soli 33 anni per problemi psico-fisici), Donny Hathaway è da annoverare tra i più importanti e influenti portabandiera del soul di tutti i tempi. Forse non è mai stato celebrato abbastanza, ma il suo posto tra i grandi se l’è guadagnato di diritto. Il vocalist e pianista di Chicago inizia a cantare sin dalla più tenera età in chiesa nel coro gospel, insieme alla nonna. Si diploma alla Vashon High School nel 1963 per poi iscriversi alla Howard University di Washington dove conosce Roberta Flack, con la quale instaura un grande rapporto umano e artistico e inciderà duetti entrati nella storia del soul. Successivamente Donny abbandona l’Università per dedicarsi alla musica a tempo pieno e inizia a collaborare con artisti come Aretha Franklin, Curtis Mayfield, The Staple Singers e Carla Thomas.
Il 1 Luglio del 1970 pubblica il suo primo album intitolato Everything is Everything, che esce per la mitica etichetta Atlantic Records. Ed è proprio in questo lavoro che il musicista di Chicago esprime al meglio la sua genialità grazie ad arrangiamenti e pezzi di grande spessore, nove brani tra cover e canzoni di propria composizione, arricchite dalla sua voce calda, penetrante, in grado di esprimere il suo tormento e le sue gioie. Basta ascoltare I Believe To My Soul (Ray Charles), oppure To Be Young, Gifted and Black (dal repertorio di Nina Simone), per rendersi conto della sontuosità di questo lavoro, due pezzi riletti da Donny con animo appassionato e carico di grande devozione. E sempre a proposito di cover c’è anche spazio per una insolita versione di Misty, brano che fu del grande pianista jazz Erroll Garner. Anche nelle proprie composizioni Donny riesce a stupirci, come per esempio in Trying Times, dal grande messaggio di pace e fratellanza tra popoli, o nello strumentale The Ghetto, che merita un discorso a parte. In quasi sette minuti Donny riesce a regalarci appunto una fotografia di ciò che accade nel ghetto, grazie a un groove latineggiante caratterizzato da belle parti di piano Rhodes e il ritmo delle percussioni che cresce a dismisura. A tutto ciò si aggiungono anche i vocalizzi di Hathaway e gli strilli dei bambini, come a descrivere la loro innocenza in un contesto contraddittorio come quello del ghetto. La spiritualità invece traspare nell’accorata Thank You Master (For My Soul), una più che sentita preghiera di ringraziamento al Signore, una canzone capace di regalare all’ascoltatore grandi brividi grazie all’ottima interpretazione di Donny e a un impeccabile solo di piano.
Che altro c’è da dire? Everything is Everything, a distanza di 50 anni dalla sua pubblicazione, è un disco che ha saputo fotografare al meglio l’inizio degli anni ’70 e la sua forza è dovuta anche alla grande capacità di esercitare un’enorme influenza sul soul degli anni a venire. Artisti come D’Angelo, India.Arie, Anthony Hamilton, John Legend ammetteranno il loro riconoscimento a quest’opera e all’arte di Donny Hathaway. Ma è in voci come Frank McComb e Raul Midon che la sua influenza risulta più evidente, loro sono i suoi alunni migliori e più espliciti. Il primo grazie a uno stile retro-moderno ma con un tocco di personalità in più. Il secondo con un sound acustico e di influenze latineggianti che eccelle nelle sue grandi doti chitarristiche. Anche colleghi del tempo come George Benson e Stevie Wonder non mancheranno di esprimere la loro stima al grande musicista di Chicago. Chissà quante altre gemme avrebbe potuto donarci Donny se non fosse per la sua vita tormentata che lo ha condotto al suicidio in giovane età… Ci piace però pensare che viva ancora grazie alla sua arte, che continua a fare proseliti, e grazie alla voce della figlia Lalah, una delle più importanti esponenti del neo-soul. Everything is Everything è un grande capolavoro, uno dei dischi più belli del soul classico, il miglior modo per mantenere vivo il ricordo di una delle voci più ispirate di sempre. May your soul live forever and ever, dear Donny!
Francesco Favano